Una generazione narra all’altra la tua fedeltà
Intorno all’anno 1500 circa
Piccolo seme, nascosto da Mano Onnipotente in luogo impensabile: una stalla!
Le nostre antiche Cronache ne raccontano l’episodio.
Una signorina che abitava lì di fronte, uscendo di casa ogni giorno per recarsi alla Chiesa, vedeva “un bellissimo fanciullo come in età di dodici anni, che passeggiava per detta stalla”. Meravigliata e sempre più incuriosita, un giorno si fece coraggio e gli chiese “che cosa facesse, essendo tanto bello e leggiadro, passeggiare per quello luogo così immondo”. “Io passeggio volentieri – rispose con somma grazia il fanciullo – perché questo luogo sarà mio, e sarò lodato da molte mie spose”.
Passati molti anni, in quel luogo si fece la fondazione del nostro Monastero e nella stalla fu fatta la Chiesa. Allora Faustina Ganci capì il senso della misteriosa risposta e non le fu difficile identificare nell’incantevole fanciullo “il Bambino Gesù, che dalle religiose sue spose aveva da essere lodato”. Appena queste vennero ad abitare nel nuovo Monastero, Faustina, commossa nel vedere avverata la profezia, raccontò entusiasta il fatto alle monache e “pigliò tanta devozione a detta Chiesa che sempre ce veniva alla S. Messa”; verso la fine della vita poi, divenuta cieca, vi si faceva condurre, chiedendo alle religiose la carità di esservi sepolta.
Grazioso l’episodio narrato che ci fa conoscere il privilegio di essere nate in una stalla come Gesù Bambino!
Padre Francesco Soto – Il Fondatore
Non è un carmelitano, né una carmelitana, tuttavia è uno spagnolo, grande ammiratore dei Carmeli fondati dalla Santa nella sua terra: Francesco Soto.
Nacque a Langa (diocesi di Osma) l’anno l536, ma ben presto si trasferì a Roma allo scopo di perfezionare il suo talento musicale.
Nello stesso periodo san Filippo Neri aveva già iniziato l’attività del suo Oratorio e il Soto cominciò a frequentarlo,
San Filippo Neri
Clemente VIII conoscendo la sua bontà e purità, gli affidò un gruppetto di giovani riunite in una casa detta “Rifugio”, in via dei Cartari. Dedicandosi a questo apostolato, il Soto vide la possibilità di fondare un Carmelo teresiano nella capitale, e “pieno di carità e zelante dell’onore di Dio, di buona voglia intraprese” l’opera.
Intanto le pie giovinette di via dei Cartari, desiderando vivamente di avere un loro Monastero, “giorno e notte facevano oratione et il detto Fondatore conferendolo più volte col suo Padre san Filippo, più volte li disse il Santo: fallo, fallo, che io sarò il nonno e loro saranno le mie nipoti”. Lo diceva a buon diritto, poiché ne aveva curato personalmente la formazione; ma non ebbe la gioia di vederle carmelitane perché morì due anni prima della fondazione (26 maggio 1595).
Padre Graziano della Madre di Dio
La prima figura carmelitana che la Provvidenza offre in questi inizi del cammino è Padre Graziano della Madre di Dio, già confessore di santa Teresa.
Padre Graziano stesso, insegna alle giovani “le cerimonie delle Scalze leggendo loro la Regola” e procurando di iniziarle allo stile di vita teresiana.
Con questi aiuti il Nostro, tra il l595 e il l597, riuscì ad acquistare, non senza difficoltà, alcune casette sul Pincio in una località chiamata Caput Domorum (oggi: via di “Capo le Case”). Le adattò a Monastero, vi trasferì le aspiranti e fece costruire una piccola Chiesa che risulterà – dal racconto fatto in seguito dalla Ganci alle monache – al posto della stalla dove passeggiava soddisfatto l’incantevole Fanciullo da lei visto anni addietro. La Chiesetta, piccola e modesta, fu intitolata a S. Giuseppe per ricordare il primo Monastero della Riforma sorto ad Avila,
A proposito di questa Chiesetta, il Graziano racconta un fatto che sembra dimostrare il compiacimento della santa Madre per la nostra fondazione. Nel portare in Chiesa un poco di carne della Madre Teresa, conservata dalle monache per devozione, “si sentì un profumo di tanta soavità e fragranza” che, datane notizia al Papa, ottennero il permesso richiesto di esporre sull’altare il ritratto della santa Madre. Gesto equivalente a “una specie di beatificazione”, che servì a sveltire la procedura per la canonizzazione.
Padre Domenico di Gesù Maria
“Tra li altri Padri delli primi che vennero da Spagna uno era il Padre Domenico di Gesù Maria.
Era tanto stimato e ricercato dai Papi che non permettevano si allontanasse per molto tempo da Roma. Se ad un certo momento lo si trova in Germania, è solo per le insistenze fatte presso il Papa da parte dell’Imperatore. Prima di partire andò a licenziarsi dalle sue monache, con la certezza interiore di non rivederle più; e poiché lo fece loro intuire, “le religiose intenerite tutte e dolendosi molto della sua partenza e il buon Padre inteneritosi anch’esso, … come estatico alzava un dito della mano destra e disse più volte: State allegramente figlie mie, ché sempre starò con voi”.
Di fatto il Padre morì nel 1630 e il suo corpo fu esposto in Chiesa. Fra Anastasio, il compagno che l’aveva seguito in tutti i suoi viaggi, essendogli molto affezionato, “nascostamente gli tagliò un dito per tenerselo … La notte li comparve il Padre Domenico e li disse: Quel dito che hai levato dal mio corpo dallo a Domenico Tabburrino e che lo porti a le mie monache di S. Giuseppe perché li ho promesso di stare sempre con loro”. Ma solo alla terza apparizione notturna il buon fraticello si decise a compiere il suo dovere! E così il dito giunse al Monastero tramite il Tabburrino che raccontò l’accaduto.
“In sentire le religiose questo, restorno ammirate e allora capirno quello che avevano veduto fare col dito dal detto Padre Domenico nel partire che fece da loro”. Lo portarono in Coro “con molta tenerezza et ammiratione … Se sentì un odore soavissimo et era tanta la fragrantia che fu necessario aprire tutte le fenestre del Coro perché faceva venire meno”.
la Bolla
La Bolla di fondazione è scritta a mano in latino su un grande foglio di carta pecora (cm 7lx96),
Diamo un breve saggio delle traduzione in lingua italiana del tempo:
“Clemente Vescovo servo dei servi di Dio. A perpetua memoria … Sentiamo giocondità e allegrezza d’animo straordinaria quando vergini tenerelle superando fortemente la debolezza del sesso, vediamo consacrarsi l’integrità dell’anima e del corpo a Gesù Cristo il più bello di tutti gli homini vero loro Sposo, e che se gli fanno incontro con le lampade accese delle virtù, per avere ad essere ricevute felicemente dal medesimo nel Celeste talamo delle nozze … Per parte del nostro diletto Fig1iolo Francesco Soto … ultimamente ci è stata fatta una dimanda” a vantaggio di molte giovani di Roma desiderose di vivere “sotto perpetua clausura … per essere salutevolmente indirizzate nella via del Signore e servire al medesimo”.
La Bolla termina con le seguenti parole: “In Roma a Santo Pietro nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1597. Alli 9 di febraro, l’Anno settimo del nostro Pontificato”.
Anno 1597
Nel 1590, sorge a Genova il primo Carmelo in Italia, il Monastero di Gesù-Maria. È fondato da tre monache provenienti dal Carmelo di Malagón (Spagna). Sette anni dopo sarà Roma stessa ad avere il suo primo Monastero teresiano, secondo in Italia.
1598 – finalmente Carmelitane!
Stralciamo dall’antico Libro delle Vestizioni e Professioni.
“Alli 14 di Aprile del sopraditto anno 1598, nel Pontificato di nostro Signore Papa Clemente VIII, essendo suo Vicario l’Ill.mo e Rev.mo Cardinale Rusticuccio, si fece la clausura a ditto novo Monasterio, e il Rev.mo Monsignor Paulo Vescovo di Rauelo suo Vicegerente vestì del Abito Monacale” dieci giovani, la cui età va da 13 (unico caso!) ai 26 anni.
Il Padre Girolamo Graziano fu tra i primi formatori alla vita carmelitana delle giovani aspiranti.
Nel 1603 il padre Soto tradusse e pubblicò per le sue monache: Il Cammino di perfezione, il Castello interiore, le Esclamazioni di Santa Teresa e, insieme, i Ricordi spirituali.
sotto la tua protezione!
Un giorno si scatenò un terribile temporale con molti spaventosi fulmini. “Di questi però, ancorché tutto all’intorno del Monasterio causassero molti e deplorevoli danni, niuno arrecò pur minima lesione a quel sacro recinto. Vedeva il Padre Francesco Soto strisciare … d’intorno a quelle da lui amatissime mura quei fuochi esterminatori”. E mentre supplicava il Signore di salvare le sue figlie, vide “la Madre delle misericordie che volando all’intorno del Monasterio, ne allontanava, ribattendoli con la sua destra, i fulmini più terribili e minacciosi”.
Il Padre riferì con gioia alle religiose la visione avuta e dispose di aggiungere, quale espressione di ringraziamento e di perenne gratitudine, il Sub tuum praesidium all’antifona Salve Regina che si cantava solennemente in Coro tutti i sabati e le feste della Madonna, promettendo in nome del Signore e della Vergine che sarebbero state sempre immuni da simili pericoli.
Viene spontaneo andare alla visione della santa Madre Teresa. “Dopo Compieta – ella racconta – mentre eravamo in Coro per l’orazione, vidi Nostra Signora circonfusa di grandissima gloria, vestita di bianco mantello sotto il quale sembrava proteggerci tutte”.
1610 – fondazione a Fano
Nel 1610 era stato eretto in Roma per iniziativa dei Padri Scalzi, il Monastero di S. Egidio, molto vicino al loro Convento e sotto la loro giurisdizione.
Intanto una nobildonna di Fano, Ludovica Rusticucci, desiderava vivamente un Carmelo nella sua città.
Per attuare il suo disegno lasciò in testamento tutti i suoi beni, sia a Roma che a Fano, volendo che il Monastero da lei desiderato fosse fabbricato quanto prima e fosse intitolato a santa Teresa di cui era innamorata. Purtroppo sorsero notevoli e varie difficoltà, e la fondazione si concluse nel 1632, quando la Rusticucci era già morta.
Nella stessa Fano vi erano diverse aspiranti, ma non c’era chi potesse prenderne la direzione. La richiesta fu rivolta prima al Monastero di S. Egidio, e poi al Monastero S. Giuseppe e furono offerte tre delle monache più valide, di cui due appartenenti al gruppo delle prime dieci.
1637 – fondazione del “Corpus Domini”
La nostra seconda fondazione avvenne nel 1637, a Roma, nel rione della Pigna, alle Botteghe Oscure.
L’iniziativa partì dal Cardinale Domenico Ginnasi, “Decano del Sacro Collegio”, il quale offrì per la fondazione il suo stesso palazzo e ne assunse pure la giurisdizione.
La Comunità rimase nella casa di fondazione oltre un secolo, con grande spirito di sacrificio e di adattamento perché il palazzo del Cardinal Ginnasi non era molto adatto.
Quindi nel 1757, con Breve del Papa Benedetto XIV, si trasferirono ai Santi Pietro e Marcellino in via Merulana, dove rimasero fino ai primi del 1900.
Ed eccoci a una svolta!
Nel 1906, per volontà di Pio X che aveva già preso accordi con il Vescovo di Fano, La Comunità si trasferì a Fano, perché la Chiesa dei Santi Pietro e Marcellino doveva essere adibita a parrocchia. Così le nostre due fondazioni sfociavano in una.
1648: San Carlo da Sezze (1613- 1670)
A nostra edificazione e conforto, la Provvidenza ha voluto lasciarci un segno tangibile nella preziosa grazia concessa a un laico francescano minore, Carlo da Sezze trentacinquenne.
Era l’ottobre del 1648. Da mesi, l’umile fraticello chiedeva al suo Signore: “Gesù Cristo mio, datemi il vostro amore! … benché io non lo meriti, non me lo negate”. E rivolgendosi alla SS. Vergine: “O Maria, Madre di Dio, impetratemi, dal vostro Figliolo, il santo amore”.
Convinto che l’amore suppone la sofferenza, se l’aspettava pur non sapendo quale forma avrebbe preso. Un rimprovero ingiusto del Padre Guardiano gliene offrì l’occasione. Questi, per penitenza, gli impose “che andasse per compagno del cercator della legna per Roma appresso al somaro”. Con pace e contentezza fece l’obbedienza, cosa che spiacque molto al “tentatore che mai non dorme”. “Mi mosse – scrive il Santo – una fierissima guerra”, suscitando le passioni, soprattutto l’amor proprio. “Non era poco il travaglio che io sentiva, aiutandomi con il domandare aiuto a Dio Benedetto e con il fare atti virtuosi per vincere me stesso”. Nello stesso tempo continuava a chiedere, “come cerva assetata”, il santo amore di Dio.
“E, avendo perseverato molti giorni in questo affetovoso esercizio, un dì fra gli altri, si cercava la legna in quelle bande in Capo le Case; et, gionto alla Chiesa del glorioso san Gioseppe, dove è un Monastero delle monache di S. Teresa, mi ordinò il compagno che ivi mi fermasse, et avessi cura del somarello che attaccato l’aveva lì vicino … Mi posi in ginocchio nel scalino della porta a far orazione, essendo uscita la S. Messa nell’Altare Magiore; e pregava Nostro Signore … che, per intercessione del glorioso san Gioseppe, se degnasse di darme il suo divinissimo amore … Et, nell’alzare il sacerdote l’Ostia consegrata, viddi da quella, con gli occhi dell’anima, uscire come un raggio di luce, e venire a ferirmi nel cuore; et fu di tanta prestezza, che non gli saprei assegniar il tempo. L’effetto poi che mi fece nel cuore fu come una cosa sensibile, fatta con un ferro materiale convertito tutto in foco … Sia benedetto san Gioseppe che, per sua intercessione, restava ferito dalla mano del Signore con il dardo del suo amore … Non faceva altro, per molti giorni, se non che dire: sia benedetto Iddio! Sia benedetto Iddio! Sia benedetto Iddio! Et era tanto l’amore che sentiva dentro del mio cuore, che non capeva dentro di me medesimo, et averebbe, per la dolcezza, lambito la terra, l’erbe e li sassi, e soportato qualsivoglia gran tormento et ogni travaglio, e martirii che hanno patiti tutti li santi con le pene che si sentono nel purgatorio e nell’inferno: mi sarebbero parse poche in comparazione dell’amor grande che provava; ché né tutte le acque delli torrenti l’avrebbero possuto estinguere … Benedetto sia in eterno il Signore Dio! Benedetto sia il glorioso san Gioseppe, sposo della santissima Vergine! Et benedette siano le mortificazioni, ché per esse si riceve un tanto bene dalla larga mano di Dio!”.
Il fatto è riportato anche dalle nostre Cronache.
Mentre stava in ginocchio sulla porta della Chiesa, “tutto riconcentrato nella considerazione della propria miseria, disse: Signore, quanto alla vostra Divina presenza son più vile del giumento, che porto con me per la cerca”. Improvvisamente “un raggio di luce a guisa di saetta” colpiva il suo “petto, facendogli una ben grande ferita nel cuore, come fu ritrovato dopo la sua morte. Il servo di Dio cadde in terra tramortito … Il chierico supponendolo svenuto per debolezza bussò alla Rota della sagrestia, chiedendo un poco di vino per un laico francescano a cui era venuta una mancazione”.
Dopo un po’ di tempo, venne al Monastero per parlare con una religiosa “con la quale carteggiava, e veniva per consolarsi spiritualmente fra essi loro. E per speciale impulso di Dio, gli disse: Sorella, sappiate che nella vostra Chiesa ricevei una grazia specialissima da Gesù Cristo … voglio segretamente palesarvela, acciò m’aiutate a ringraziare il nostro Signore. E ciò disse non senza abbondanza di lagrime, e confusione. La buona Madre tenne segreto il tutto, finché non fu passato all’altra vita”.
Il Santo, molto devoto della santa Madre Teresa e amico del Monastero, lo frequentava volentieri, anzi gli aveva procurato buone vocazioni, quindi non meraviglia se il nome di cinque monache compare nei Processi ordinario e apostolico.
Nell’anno stesso della sua canonizzazione – proclamata da Papa Giovanni XXIII nel 1959 – abbiamo avuto la gioia di avere la preziosa Reliquia del suo Cuore, esposta nel nostro Coro per una settimana; quel Cuore così visibilmente trafitto dall’Amore di Dio.
Per un privilegio che ci fu concesso dalla Congregazione per il Culto nel 1890, ogni anno il 7 gennaio ne celebriamo liturgicamente la Memoria e, nell’Ufficio delle Letture leggiamo il famoso passo della sua Autobiografia in cui egli stesso parla della sublime grazia ricevuta, per intercessione di san Giuseppe, proprio nella nostra Chiesa a Capo le Case.
Frate Carlo operò molti miracoli, come guarigioni da infermità e moltiplicazione di cibo. Colpito da malattia morì nel convento di S. Francesco a Ripa il 6 gennaio 1670. Nel punto del cuore dove il Signore gli inflisse la ferita d’amore, cominciò ad apparire dopo la morte un segno a forma di croce; il fenomeno è stato uno dei miracoli riconosciuti dalla S. Congregazione dei Riti.
1727 – la vicenda di Santa Cristina
La signorina Cristina, amica del Monastero, nel giorno della sua Cresima ricevette in dono “il Corpo di S. Cristina con una caraffa del sangue dentro una cassettina di legno guarnita d’oro, con i suoi sigilli ed autentica. E la buona signorina Cristina, che era molto affezionata alla nostra Comunità, fece un regalo al nostro Monastero di tanto bel tesoro (1727), conservato per molti anni nel Reliquiario del Coro”.
Più tardi, quando fu rifatto il Monastero, si fece appositamente una Cappella con l’Altare disposto in modo da porvi sotto “il detto santo Corpo, come poi seguì alli 11 di giugno dell’anno 1738”. Nel trasportarlo si fece una processione così solenne da sembrare un vero trionfo. “Arrivatosi al luogo, ove doveva essere collocato il Corpo”, vi posero l’Urna e “il Prelato fece breve orazione alla San
ta, intonò il Te Deum laudamus proseguito a coro dalla Comunità con il suono delle campane. Ogni anno si celebra la festa e vi è l’indulgenza plenaria”. Si proseguì così per tre secoli.
Il Martirologio Romano dà alcune notizie del feroce martirio subìto da questa vergine, segnandone la memoria al 24 luglio. Per la sua intrepida fede in Cristo, Cristina spezzò gli idoli d’oro e d’argento del padre distribuendone i frammenti ai poveri. Fu lo stesso padre a ordinare di lacerarla con flagelli, di tormentarla crudelmente con altri supplizi. In seguito sotto un altro giudice, successore di suo padre, sostenne i più acerbi tormenti; infine, sotto Giuliano Preside, dopo essere rimasta illesa per cinque giorni in un’ardente fornace, col taglio della lingua e la trafittura delle frecce, compì il suo glorioso martirio.
Purtroppo, di questa eroica martire, poco ci rimane: una piccola teca con frammento delle sue ossa, la cui autentica porta la data del 23 luglio 1927. Inoltre, un dipinto a olio, che presenta la Santa accasciata ferita da tre frecce, in una lunetta sovrastante la porta che conduce alla cripta interna. Dall’alto si affacciano due Angioletti come a volerla sostenere, mentre in terra si vedono vari strumenti di supplizio.
L’insigne reliquia fu ceduta ad una Diocesi oltreoceano ma prima della sua partenza fu prelevata una Reliquia per ciascuna religiosa e una per la Comunità.
1750 – la devozione alla Madonna del Buon Consiglio
L’ingresso in Comunità di due sorelle dalmate è stato l’inizio di una particolare devozione alla Madonna del Buon Consiglio.
“Ardentemente desiderose [entrambe] per loro devozione a Maria SS. del Buon Consiglio e per consolazione a tutta la Comunità … di averne un’immagine”, ottenuto il permesso dalla Priora, impiegarono a tale scopo un’elemosina ricevuta.
Ne fu incaricato “un bravo pittore unico nel fare a dovere le copie della sacra Immagine”, venerata a Genazzano. Questi, con sua grande meraviglia, si sentiva “volare il pennello nelle mani” e alla fine disse che nessun’altra immagine “gli era così felicemente riuscita come questa”; e nel consegnarla aggiunse: sento “che questa SS. Vergine ci va molto volentieri” da chi l’ha richiesta.
Per riceverla in Monastero, le monache si fecero trovare genuflesse alla porta di clausura “con le cappe e le candele accese in mano, poi processionalmente portarono al luogo destinato la Venerabilissima Immagine”. Era il 14 luglio dell’Anno Santo 1750.
Fin dal 1857 si ottenne il privilegio di celebrarne liturgicamente la festa con la Santa Messa e Ufficio proprio il 26 aprile, come usano i Padri Agostiniani.
Anni 1799 – 1957
Dal 1799 cominciò per la Comunità – come per tutta la Chiesa e in particolare per la vita religiosa – una serie di difficoltà e persecuzioni che si protrasse per tutto il secolo XIX. In questi anni le monache dovettero molto lottare e soffrire per non veder soppresso il loro Monastero e non essere espulse. Ha del prodigioso che la Comunità sia sempre rimasta unita anche nei periodi di “esilio”, senza interrompere la vita regolare.
Il fatto è sempre stato attribuito alla speciale protezione di S. Giuseppe.
Ma nel 1932 dovettero arrendersi e lasciare definitivamente la Casa di fondazione. Per interessamento di Papa Pio XI la Comunità si trasferì sulla Casilina in una abitazione adattata alla meglio.
In questa sede, il 13 febbraio 1943, il Monastero passò finalmente sotto la giurisdizione dell’Ordine e le Sorelle con somma gioia rinnovarono per la prima volta i voti religiosi nelle mani del Preposito Generale.
Nello stesso periodo – 1941 – avvenne anche l’incontro provvidenziale con il padre Gabriele di S. Maria Maddalena, professore di Teologia spirituale al Collegio Internazionale dei Carmelitani Scalzi, che divenne direttore spirituale e “padre” della Comunità fino alla sua morte nel 1953.
Col trascorrere del tempo l’abitazione sulla Casilina si rivelò sempre più inadeguata alle esigenze della vita claustrale. La Comunità, povera e senza risorse, si rivolse con fiducia a S. Giuseppe per poter avere una casa dove accogliere nuove vocazioni.
E la risposta del Cielo non si fece attendere servendosi della generosità, prima della famiglia Belgioioso di Rovasenda per l’acquisto del terreno e poi della famiglia Sullivan di San Francisco in California per la costruzione del complesso monastico.
Il 15 luglio 1957 la Comunità potè finalmente trasferirsi nella nuova sede in Via della Nocetta.
Via della Nocetta
Leggiamo dalla Cronaca del nostro Monastero:
“Vengono al Monastero il conte e la contessa di Belgiojoso di Rovasenda, cognato e sorella della nostra angelica Suor Carmela dello Spirito Santo, volata al Cielo cinque anni or sono”. Desideravano fare qualche cosa in memoria della sorella e stanziavano 25 milioni di vecchie lire. Tale fatto, del tutto inatteso, ci incoraggiò e decise a cercare il terreno, anche se la somma non poteva bastare per la costruzione.
Nello stesso periodo – sorpresa ancora più grande! – giungeva da Santa Clara in California la lettera di una benefattrice che per il momento voleva rimanere incognita. Assicurava che avrebbe pensato lei a ogni cosa. Educata da giovane a Roma in un Istituto religioso poco distante dal nostro Monastero a Capo le Case, aveva frequentato spesso la nostra Chiesa e ora, sapendoci esiliate dalla casa di fondazione, voleva riservarsi il privilegio di offrirci la nuova abitazione.
La Priora, Madre Maria Giuseppa del SS. Sacramento, e la Sottopriora suor Maria Gemma della SS. Trinità si misero subito alla ricerca del terreno decidendo di sceglierlo in una zona vicina al Teresianum, per assicurare alla Comunità l’assistenza e la formazione da parte dei nostri Padri. Un primo tentativo andò a vuoto, però se ne presentò presto un altro assai migliore in via della Nocetta. La posizione era ottima: da quel terreno, situato su un piccolo colle, si scorgeva la cupola di San Pietro che avrebbe ricordato a noi la nostra vocazione apostolica per la Chiesa. Dirimpetto, a distanza di pochi metri, c’era il parco di Villa Pamphili ricco di verde. La Madre, entusiasta di tale posizione, vi gettò con viva fede la medaglia di San Giuseppe, sicura che il terreno era già nostro!
Le pratiche per l’acquisto furono lunghe e difficili ma, grazie alla competenza e al paterno aiuto del Padre Generale, Anastasio del SS. Rosario, il 20 dicembre di quello stesso anno (1955) si stipulava il contratto notarile.
Data la prossimità del santo Natale, venne spontaneo alla cronista attribuire tale avvenimento decisivo a Gesù Bambino, tanto più che sul terreno acquistato non sorgeva “altro che una grande stalla” la quale richiamava la stalla di Betlemme. Si ripeteva così il grazioso episodio delle origini, quando fu visto un “leggiadro Fanciullo” passeggiare soddisfatto sulla stalla dove poi sarebbe sorta la nostra primitiva Chiesa. Nella festa del Patrocinio di San Giuseppe, il 18 aprile 1956, fu posta la prima pietra dell’erigendo Monastero, benedetta da Sua Eccellenza Mons. Ettore Cunial, Vicegerente di Roma e nostro carissimo amico. In questa era stata inserita una pietruzza della casetta di Nazaret, dono di un sacerdote.
Prima di continuare la narrazione, occorre qualche chiarimento su questa ignota persona. Era la Priora del Carmelo di Santa Clara, la Madre Agnese di Gesù, che aveva ereditato da suo padre un cospicuo capitale. Per un permesso di eccezione, le fu concesso di amministrarlo tramite il fratello Noél Sullivan, noto musicista e fervente cattolico, molto premuroso nel coadiuvare la sorella nelle sue molteplici opere di carità.
Via via che i lavori procedevano, la Madre Agnese era puntualissima nell’inviare il denaro necessario. Quando sentì che le spese eccedevano il previsto, ne informò il fratello il quale stava in una casa religiosa dove trascorreva in ritiro la Settimana Santa. Questi non si allarmò e inviò subito un telegramma alla sorella dicendo: se non bastano i frutti del capitale, spezzeremo l’alabastro; intendeva dire che si sarebbe attinto dal capitale senza esitare. Simile generosità ci ha profondamente edificate e commosse!
Sollevate così da ogni preoccupazione, mentre i lavori fervevano e si avvicinava la Pasqua (1957), si pensò a una “piccola missione” per gli operai in preparazione al precetto pasquale, offrendo alcune prediche con la possibilità di confessarsi. Si concluse il 13 aprile con la Santa Messa, durante la quale gli ingegneri con la loro famiglia e gli operai hanno fatto la santa Comunione. Fu la prima Messa alla Nocetta, celebrata all’aperto, alla presenza di 61 persone. Si seppe poi che alcuni tra gli operai da molti anni non si accostavano ai Sacramenti e tuttavia avevano accolto volentieri l’iniziativa rimanendone tanto contenti. Terminata la funzione, furono tutti invitati per la colazione. “Le nostre sorelle di velo bianco avevano fatto le ciambelle mettendole in sacchetti di carta con un uovo sodo, frutto del nostro pollaio”.
Trascorsi alcuni mesi, il Padre Generale ci consigliò di trasferire la Comunità al Monastero anche se non ancora completato, perché la presenza delle monache sollecitasse i lavori. Il trasferimento avvenne nella vigilia della Madonna del Carmelo, il 15 luglio 1957.
Finalmente il 13 maggio 1958 fu stabilita la sospirata clausura
Pochi giorni dopo – il 27 seguente – ebbe luogo la maestosa cerimonia della Consacrazione della Chiesa. Il Vescovo consacrante, S.E. Mons. Ettore Cunial, ammirando la bellezza della Chiesa curata in ogni particolare, al termine della cerimonia esclamò soddisfatto: “Oggi ho consacrato un’opera d’arte”.
In precedenza – 9 dicembre 1957 – erano state consacrate le nuove campane: il giorno seguente fecero squillare la loro voce, dopo venticinque anni esatti da quando erano state messe a tacere quelle a Capo le Case (10 dicembre 1932).
Nell’ampio terreno sono stati costruiti tre romitori per i ritiri eremitici; sono tre piccole cappelle dedicate rispettivamente: a Nazaret, al Getsemani, al Calvario. Tra le ultime due si erge la Via Crucis che si inerpica verso una grande Croce, dominante il viale dei cipressi. Ora tutto è veramente disposto a favorire la vita di preghiera solitaria e la contemplazione.
Padre Gabriele
Di origine belga, nel 1926 è chiamato a Roma dal Padre Generale, P. Guglielmo di sant’Alberto, come professore e Vicerettore del Collegio Internazionale S. Teresa al Corso d’Italia.
Fu ricercato conferenziere e direttore spirituale. Egli ebbe il merito di rendere accessibile a tutti la dottrina dei grandi santi carmelitani, indirizzando le anime ad una unione sempre più intima con Dio.
Dietro suo consiglio e aiuto, nel 1952 ebbe inizio l’attività editoriale del Monastero con la pubblicazione del primo volumetto di Intimità Divina, giunta oggi alla XX edizione.
Il Signore l’aveva scelto quale Padre della Comunità che egli amerà con delicatissimo affetto.
La Priora del tempo, Madre Angela Teresa di Gesù Bambino, nel 1941 lo invita per la predicazione quaresimale.
La sua prima predicazione ebbe come tema “La vera figlia di santa Teresa”.
Corso memorabile per l’impressione che fece a quante ebbero la fortuna di ascoltarlo vedendosi presentare il “pane di casa” con un entusiasmo e una chiarezza che rimarranno sempre la caratteristica di questo Padre.
Il Vicariato, dietro nostra richiesta, lo incaricò di una istruzione mensile alla Comunità e nell’autunno le monache lo ottennero per gli Esercizi spirituali.
La guerra mondiale
Nel 1940 l’Italia era entrata nella guerra mondiale. Qui ne vedremo le principali tappe in rapporto al nostro Monastero.
Si noti anzitutto che la nostra casa era situata a circa cento metri dal campo di aviazione di Centocelle militarizzato.
Nel 1943 “cominciarono le ore di passione con il terribile bombardamento del 19 luglio che distrusse la Basilica di S. Lorenzo al Verano”.
Intanto i bombardamenti si estendevano “alle zone limitrofe del Monastero … Colonne di fumo denso, nero e rossiccio, si scorgevano dal nostro giardino e dalle terrazze, mentre i palazzi del vicino quartiere erano roghi in fiamme”. Si rimaneva poi, per diversi giorni, senz’acqua o senza luce e con tutte le comunicazioni interrotte.
Nonostante le nostre disposizioni a rimanere, i Superiori decisero senz’altro di portarci via. Ricevuto l’ordine, “passammo tutta la notte a imballare e incassare quanto era necessario mettere al sicuro”.
a Regina Coeli
Quando la Priora del Monastero di Regina Coeli seppe che i Superiori pensavano di dividere la nostra Comunità nei vari Carmeli di Roma, spontaneamente si offrì a ospitarci tutte.
Molto preziosa anche la presenza di Padre Gabriele, che pensava soprattutto a sostenerci spiritualmente. In preparazione al mese di marzo, dedicato a san Giuseppe, richiamava le condizioni di vita della S. Famiglia durante la fuga in Egitto e illustrava i punti che avevamo in comune.
“Anche le monache di S. Giuseppe hanno fatto la loro fuga … ma hanno con sè Gesù sul quale devono fissare continuamente lo sguardo, per attinger coraggio, fiducia … imperturbaile serenità”.
Il Padre Generale ci fece una proposta: affidare a san Giuseppe la casa in via Ancillotto e chiedere che la Comunità rimanesse incolume e potesse tornarvi quanto prima. Fu una proposta molto indovinata, rispondente in pieno ai nostri desideri.
Trascriviamo la formula letta dalla Priora alla fine della S. Messa: “Oggi, 30 aprile 1944, la Comunità di S. Giuseppe, per ottenere di rimanere incolume e unita dopo la guerra, fa voto a Dio – in onore di S. Giuseppe – di osservare quanto segue:
– Tutti i giorni del mese di marzo recitare la preghiera A te, o beato Giuseppe, la mattina dopo la Messa.
– In un giorno della novena in preparazione alla festa di S. Giuseppe, fare una giornata intera di silenzio e raccoglimento con: esposizione del SS. Sacramento e adorazione a turno – ritiro perfetto – una penitenza in comune aggiunta alle solite.
Deo adiuvante et intercedente Sancto Patre Nostro Joseph!”.
Il 4 giugno venne a trovarci il nostro Cappellano di via Ancillotto per darci la sospirata notizia che, nonostante i forti combattimenti della zona, la nostra casa era salva.
gioia del ritorno
Il 21 giugno il gruppo più forte della comunità con la Sottopriora ritornò in via Ancillotto.
Cinque giorni dopo arrivarono le inferme accompagnate dal Padre Provinciale e dal Padre Tarcisio nostro confessore, mentre il Padre Generale prestava il suo camioncino per il trasporto degli oggetti più delicati: lui stesso caricava e scaricava con edificazione di tutti. Alla fine condusse a casa la Priora e le ultime tre sorelle.
In data 23 giugno Padre Gabriele si faceva presente con una lettera carica di umanità e di spirito soprannaturale.
“Ecco terminato l’esilio! Abbiamo attraversato la prova e tuttavia non possiamo dire di essere stati infelici … Gesù ci ha fatto l’onore di associarci alla sua Passione … di contribuire con il nostro sacrificio a ottenere la preservazione di Roma avvenuta in modo tanto meraviglioso quanto inaspettato”
…e San Giuseppe ci aveva salvata la casa.
Due mesi dopo il ritorno, la Comunità ebbe la grazia degli Esercizi spirituali, che dovevano segnare un nuovo punto di partenza nel cammino verso la santità. Li predicò P. Gabriele sul tema: Vivere con Dio, per la Chiesa, in mezzo alle sorelle.
Maestro e Padre
Nella ricorrenza del suo 25° di Sacerdozio (Gand 1919- 20 dicembre – Roma 1944) il Padre ebbe il dono di essere ricevuto da Sua Santità Pio XII, il quale gli affidò un messaggio per tutte le Carmelitane: “Raccomando la vita di ritiratezza, di nascondimento, la vita abscondita cum Christo in Deo” (22.1.1945).
Riportiamo qualche sua frase in proposito a questo mandato a lui tanto gradito:
“Gesù ci invita al colloquio solitario con Sé nel nascondimento del cuore dove Lui solo vive … La vita nascosta conduce all’unione più intima con Gesù e con la SS. Trinità. Avendo l’anima scelto di stare in solitudine per amore di Dio, Dio stesso si innamora di lei … la prende sotto il suo influsso. Lo Spirito Santo, Spirito di Gesù e del Padre, opera questa unione in cui non ci sono limiti poiché l’amore non conosce misura … Magnifico dunque il programma datoci dal Sommo Pontefice”.
In un incontro del marzo 1945, qualcuna ebbe la felice idea di portare il discorso sul nostro Fondatore, P. Francesco Soto, e in particolare sul Cammino di perfezione da lui tradotto in italiano e stampato (1604) per le nostre prime monache. Allora si propose al Padre di commentarci questa mirabile opera della nostra Santa Madre. Non si fece pregare; anzi, lo fece in molte istruzioni per la durata di circa tre anni e si arrivò alla pubblicazione del volume La via dell’orazione, come il Padre stesso aveva desiderato.
“Se il mio studio ha avuto l’intento diretto di aiutare un gruppo di anime che la Provvidenza mi ha affidato più da vicino, il mio sguardo abbraccia però tutte le altre che, sebbene con minore frequenza non però con minore dilezione, mi è dato avvicinare, e si spinge anche oltre, poiché il mio spirito anela ad aiutare tutti coloro che aspirano all’unione totale con Dio”.
collaborazione con Padre Gabriele
Il Padre fondò la sua prima Rivista, Vita carmelitana, nel 1941 con l’intento “di contribuire all’educazione della nostra Famiglia attingendo dalle sue glorie antiche lo spirito da trasfondere nelle generazioni presenti” e, desiderando partecipare “al largo movimento spirituale, sorto nel dopo guerra, verso una vita più alta e più pura”, nel 1947 fondò la Rivista di vita spirituale.
Facendosi più frequenti e familiari i nostri incontri con il Padre, egli ci coinvolse quasi naturalmente nel suo intenso lavoro editoriale.
Uno degli impegni più forti è stato quello delle ripetute stesure del Manuale di vita spirituale che il Padre desiderava pubblicare nel 1953, ma che purtroppo non poté portare a termine.
Intanto gli erano giunte molte richieste perché pubblicasse un volume di meditazioni per tutti i giorni dell’anno secondo il metodo teresiano. Ed egli, scriveva: “Assicurandomi un’ampia collaborazione, ho cercato di rispondere a questo desiderio … e spero di poter pubblicare il 1° volumetto per dicembre”. Non ebbe però la soddisfazione di seguire e vedere stampati gli altri volumetti. Alla sua morte fu trovato sul suo tavolo il dattiloscritto del 2° volumetto, di cui aveva rivisto e annotato solo i primi fogli. Ma l’intero piano dell’Opera e il titolo erano stati combinati insieme; inoltre egli ci aveva consegnato un vastissimo materiale dei suoi scritti: articoli, conferenze, istruzioni spirituali agli studenti, prediche, corsi di Esercizi spirituali e perfino il famoso Manuale. L’intento era chiaro: spigolando da questi testi si potevano stendere le meditazioni con la certezza di essere fedeli al suo pensiero.
Quanto alla sua intensa attività, con ritmo accelerato si alternavano corsi di Esercizi, di studio, settimane di spiritualità, conferenze, articoli di ogni tipo, ecc. In una sua conferenza sull’apostolato aveva detto: l’apostolo deve dare sempre, “anche quando è stanco, sfinito, forse abbattuto, quando il fisico grida riposo, quando anela a un po’ di conforto e di sollievo”.
Era lui ora ad avere bisogno di riposo e benché sofferente per una bronchite non si arrese alla stanchezza.
Il 13 marzo ottenne il permesso di tenere la settimanale conferenza sulla direzione spirituale ai sacerdoti.
Il giorno 15 fu chiamato un medico che lo trovò in condizioni molto gravi, senza peraltro prevedere un crollo immediato.
Nel frattempo, il fratello laico che lo assisteva si era assentato pochi minuti per procurargli le medicine prescritte; al ritorno trovò il Padre col capo reclinato sul guanciale; si avvicinò: era morto.
Dopo la sua morte i Superiori non esitarono a dare l’obbedienza di continuare il lavoro editoriale mentre loro stessi, conoscendo bene il pensiero del Padre, si assumevano la responsabilità di rivedere tutto. In tal modo, nello spazio di tre anni, Intimità Divina veniva ultimata.
Un confratello a lui molto vicino, ci mandava i suoi lavori: erano migliaia di fogli che un po’ alla volta si riuscì a catalogare e conservare in un apposito Archivio. Continuava così la nostra collaborazione con il Padre e ne fu incaricata proprio la collaboratrice della prima ora.
Il Padre ritorna
Nel pomeriggio del 26 ottobre 1959, alcuni Superiori della Casa generalizia, il nostro Vicario provinciale, la famiglia di Padre Gabriele venuta dal Belgio – il fratello Arsenio con la signora e il primo nipote Gustavo con la consorte – andarono al Verano a prelevare la Salma.
La mattina del 27 arriva il Generale, Padre Anastasio del SS. Rosario: celebra la S. Messa al termine della quale la cassa viene tumulata in cripta.
Nell’interno del loculo, in un tubo di piombo, è stata racchiusa un’artistica pergamena con il saluto del nostro Monastero:
“Il Padre Gabriele di S. Maria Maddalena
ritorna, per rimanervi, al Carmelo San Giuseppe …
Guarda dal Cielo, Padre,
e stabilisci nella carità di Cristo questa vigna
che, irrigata dai tuoi sudori, mirabilmente coltivasti”.
L’ingegnere Berucci che aveva costruito il Monastero osserva: “Ecco dove doveva convergere, nel piano divino, tutto il lavoro di questa costruzione”.
Padre Generale:
“Padre Gabriele era veramente un’anima entusiasta, faceva tutte le cose con un fervore, con una giovinezza che non declinava mai … Ardore ed entusiasmo che poi, nella sua vita di apostolato, si tramutavano in una efficacia soprannaturale che convinceva, in un ottimismo che trascinava … Il motivo del suo entusiasmo era la sua profonda fede nell’amore di Dio; ci credeva non solo teoricamente, da teologo, ma nella maniera più profonda: alla maniera, direi, della nostra santa Madre Teresa”.
E il Rettore del Teresianum, P. Vittore di Gesù Maria:
“Era la gloria più illustre del nostro Collegio”.
* * *
Il Padre non doveva rimanere solo nella nostra cripta: accanto a lui era pronto il posto per una sua figlia che egli molto stimava, suor Carmela dello Spirito Santo, al secolo marchesina Elisa di Rovasenda. Entrata al Carmelo nel 1946, in appena tre anni compiva la sua missione. La sua continua ardente brama per la salvezza delle anime e per il bene della Chiesa la indusse a chiedere più volte al suo Direttore P. Gabriele il permesso di offrire la vita a tale scopo. L’ottenne con sua grande gioia il giovedì santo del 1949.
Pochi mesi dopo, nella novena della Madonna del Carmelo, si ammalò gravemente al punto da dovere uscire dal Monastero; e a distanza di qualche giorno giunse il telegramma che ne annunciava il decesso, avvenuto il 23, ottava della solennità della Madonna.
Padre Gabriele, ricevuta la notizia della di lei morte, ci scriveva: “Questo nuovo sacrificio richiesto dal Signore, al quale anch’io sono molto sensibile, mi lascia un profondo sentimento di pace: conoscevo a fondo questa cara anima e vi dico senz’altro che la stimavo una santa … Ella, dal Cielo, sarà il nostro caro Angelo”.
1955 – Padre Anastasio del SS. Rosario
Nel 1955 veniva a Roma, eletto Generale dell’Ordine non ancora quarantaduenne, parco di parole, serio, dallo sguardo severo. Chi poteva intravedere il cuore che nascondeva?
Erano gli anni in cui si costruiva il nostro nuovo Monastero, ed egli subito se ne interessò con amore e competenza. Si iniziava così un’amicizia che, da parte del Padre, sarebbe sfociata in una continua assistenza spirituale alla Comunità. Teneva istruzioni su temi inerenti alla nostra vita.
Dopo la rielezione a Preposito Generale (1961) si adoperò perché tutto l’Ordine celebrasse degnamente il IV centenario della Riforma Teresiana (1962).
“La S. Madre ha fondato i suoi Monasteri per moltiplicare intorno al Signore quelle ardenti, ferventi e sublimi amicizie che erano il grande desiderio del suo cuore: dare al Signore anime che gli fossero profondamente amiche e che lo consolassero … Vorrei davvero che il centenario fosse questa esplosione di giovinezza teresiana. Per questo ci vuole soprattutto coraggio, ci vuole una generosità coraggiosa”.
Nel pomeriggio del 23 gennaio 1962 il Padre ci fece la più bella sorpresa di tutto il centenario: ci mostrava il manoscritto originale, unico autografo, del Castello interiore di santa Teresa, portato a Roma per farlo restaurare da specialisti.
Così commentava il Padre Generale:
“Ella non pensa che quanto ha scritto in questo libro appartenga alla storia della Riforma di ieri, ma deve appartenere alla storia della Riforma di oggi e di sempre”.
Nel febbraio del 1965 Nostro Padre ci portò un altro autografo della santa Madre: il Cammino di perfezione nella redazione di Valladolid. Esposto in Coro su un leggio dorato, è rimasto a disposizione delle monache per quattro giorni.
Nel 1967, al termine del suo servizio in qualità di Preposito Generale, e nel novembre del 1969 ci tenne gli e.s. sviluppò il tema A immagine di Dio che più tardi fu da noi preparato per la stampa (1986).
Paolo VI, il 21 dicembre 1973 lo nominò Arcivescovo di Bari. Il Padre venne a trovarci quattro giorni dopo, proprio il giorno di Natale, e celebrò una S. Messa e ci confidò:
“Dopo avere servito l’Ordine per cinquant’anni mi costa moltissimo lasciarlo. Lo faccio solo per obbedienza alla santa Chiesa”.
Ritornò ancora prima di partire per Bari e lasciò come ricordo un Crocifisso a ogni monaca.
Nel 1989, avendo raggiunto il limite di età, rassegnò le dimissioni da Arcivescovo di Torino e si ritirò presso il Monastero S. Croce a Bocca di Magra (La Spezia), dove dopo lunghe sofferenze partì per la casa del Padre il 21 giugno 1998 all’età di 84 anni.
È sepolto nella cripta dell’eremo del Deserto di Varazze.
Il 9 ottobre 2014 si è dato inizio, presso l’Arcidiocesi di Torino, all’Inchiesta diocesana sulla “vita, virtù e fama di santità”.
Riportiamo una sua frase nella quale ci sembra di intravedere la sintesi della sua vita:
«La distanza tra il Carmelo e il Cielo è poca. Tocca a noi consumarla con questa povera vita, che non è nostra, ma è di Colui che se l’è presa consacrandoci a Sé e destinandoci alla sua gloria. Amen!».
1984 – Giovanni Paolo II tra noi
Il dono del centenario che supera tutti è la visita del Papa, prevista al termine della sua visita pastorale alla Parrocchia del SS. Crocifisso cui apparteniamo.
L’incontro è molto spontaneo e familiare:
“Siete giovani!”. – “Nello spirito, sì, siamo tutte giovani …”. – “State bene?”. – “Sì, Santità, specialmente in questo momento”. Poi, camminando, una sua confidenziale informazione: “Lo Scapolare della Madonna lo porto sempre!”. E la Madre: “Ne abbiamo preparato uno per Lei!”. Il Papa sorride compiaciuto. Lungo il corridoio sosta davanti ad alcuni armadi della biblioteca: guarda, riconosce la foto di Padre Gabriele sulla copertina di una sua biografia e, indicandola, esclama: “Padre Gabriele!”. Certo gli verrà in mente il rifiuto avuto da studente allorché aveva chiesto un incontro con lui per consultarlo sulla sua tesi: La fede in San Giovanni della Croce. Sapendo la cosa, nella lettera di invito gli avevamo detto scherzosamente di non avere alcuna preoccupazione, perché ora P. Gabriele era a sua piena disposizione e l’attendeva in cripta!
La Madre Priora gli rivolge un caloroso indirizzo, di cui riportiamo qualche pensiero.
“La Sua visita è un dono: ci rafforza nella fedeltà alla nostra specifica vocazione, ci immerge nel cuore della Chiesa, nel cuore del Papa … Quando è più solo pensi che un piccolo gruppo di figlie oranti vive in costante implorazione di grazie per lei … Benedica, Beatissimo Padre, questa Comunità che rinnova oggi nelle sue mani l’impegno di assoluta fedeltà alla Chiesa e all’Ordine”.
L’ascolto del Papa non è semplicemente attento, ma eloquente; alla fine dice: “Grazie, sono contento. Va bene!”. E continua parlando a braccio: “Ecco, vi faccio una visita in quest’anno che per voi è tanto importante perché è il centenario della vostra Madre Fondatrice, a cui la Chiesa deve molto. Ella ha veramente offerto alla Chiesa tanti frutti del suo amore, della sua grazia, del suo carisma … È una bella cosa nascondersi per tutta la vita insieme con Gesù, cercando nel suo Cuore tutte le ricchezze che vi sono, per voi stesse e per gli altri. Esprimo anche la mia gioia perché vi trovate a Roma … Siete la forza nascosta della Chiesa”.
Alludendo poi alla Liturgia del giorno, ci dà un’ultima consegna:
“Voi avete una parte specifica, direi connaturale alla vostra vocazione, nella Croce di Gesù”. Ma non poteva mancare un accenno alla gioia teresiana: “Se cerchi la gioia, devi andare dalle Carmelitane”.
È l’esperienza da lui fatta nella sua patria: quando aveva bisogno di un po’ di distensione, andava a trovare le sue monache.
Soffermandosi sulle edizioni del Monastero, in particolare su Intimità Divina: “E la tomba di Padre Gabriele?” chiede subito. “Santità, è in Chiesa” risponde la Madre.
Sul punto di entrare in Chiesa, chiede di nuovo: “La tomba di Padre Gabriele dov’è?”. Viene accompagnato in cripta dove sosta in preghiera accanto al venerabile Padre, poi si avvicina benedicente alla tomba di Suor Carmela dello Spirito Santo.
1983/4 – Anno Santo straordinario della Redenzione
il Cardinale Ugo Poletti alla nostra Comunità
“Care sorelle, anche in voi può operare quella forza di Spirito Santo che ha sostenuto la natura umana di Gesù sulla Croce … quella forza di amore che misteriosamente può arrivare a salvare il mondo facendolo passare dalla morte alla vita … Non abbiate paura! Se Gesù non avesse avuto singolare amore e fiducia verso di voi, non vi avrebbe chiamate a partecipare più intimamente e intensamente alla sua Passione”.
“Voi continuate la vita di Maria: preghiera, adorazione, nascondimento, immolazione … soprattutto lode a Dio! La vostra vita, non solo delle singole ma della Comunità come tale, deve essere un coro armonioso e unanime, un canto di lode, di riconoscenza, di adorazione a Dio”.
1597 – 1997: 400 anni
Il nostro quarto centenario di fondazione si incrocia con il primo centenario della nascita di Santa Teresa di Gesù Bambino (1897 – 1997) anno che la vedrà proclamata “Dottore della Chiesa” dal Papa GPII. Per questo il nostro giubileo sarà arricchito con la presenza – per ben due volte in poco tempo – dell’Urna contenente le ossa della Santa.
9 febbraio 1997: 400° anniversario di fondazione
Solenne concelebrazione eucaristica presieduta da Sua Eminenza il Cardinale Eduardo Martinez Somalo con una ricca rappresentanza dalla Casa Generalizia dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, dalla Facoltà Pontificia del Teresianum, dalla Provincia Romana e dal Centro Interprovinciale.
La sintesi della celebrazione è dettata dalle parole scritte intorno all’ovale della Madonna del Ringraziaamento che si venerava nel monastero di fondazione a Capo le Case:
“Magnificat – Gloria Patri – Gloria Filio – Gloria Spiritui Sancto”
Nella sua omelia Il Cardinale ci lascia questa esortazione:
“L’esempio di Gesù che si ritira in solitudine e prega ci dice di essere spazio in cui l’Amore di Dio possa versarsi, luogo attraverso il quale possa entrare nel mondo ed espandersi…tutte le attività, le forme di predicazione e di missione sono autentiche e possibili solo se nascono dall’Amore…accogliere l’Amore, fare spazio all’Amore, nutrire l’amore nel cuore della Chiesa costituisce la missione fondamentale.”
19 marzo 1997: Solenne apertura del 4° centenario. Presiede il Generale dell’Ordine, Camillo Maccise.
Il primo settembre arriva da Rimini, la reliquia di Santa Teresina e riparte il giorno 3 dopo la santa Messa.
Il primo ottobre si chiude l’anno centenario della nascita di Teresina e il 13 ottobre arriva l’urna per la seconda volta. Santa Teresa resterà con noi sino al giorno seguente.
Marzo 1998
In questo mese esce la storia del nostro Monastero preparato per la chiusura del nostro centenario.
Nella grande solennità di San Giuseppe, il 19 marzo, la solenne concelebrazione per la chiusura del giubileo.
Tra una celebrazione e l’altra l’anno passerà nella completa normalità, con la vita quotidiana semplice: preghiera, lavoro, assistenza alle sorelle inferme e allettate, momenti di formazione, ricreazioni, molte visite fraterne da parte dei nostri Superiori, il Vescovo di zona, i nostri missionari, conoscenze nuove e antiche con alcune celebrazioni importanti.
Il tutto “in rendimento di grazie” per l’eterna Misericordia con cui il Signore ci ha avvolte.
San Giuseppe, il nostro potente Patrono
A questo punto desideriamo soffermarci sulla figura del nostro caro S. Giuseppe.
Abbiamo toccato con mano quello che dice la santa Madre: “Ho visto chiaramente che il suo aiuto mi fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare. Non mi ricordo di averlo mai pregato di una grazia senza averla subito ottenuta”.
Risulta, inoltre, dalle antiche Cronache che anche la novena era celebrata in modo solenne e con straordinario afflusso di fedeli. Si iniziò nel 1754 allorché un Canonico, amico del Monastero e molto devoto del Santo, offrì il necessario per poter esporre il SS. Sacramento tutti i giorni, “ed ogni sera di detta novena il medesimo fece il discorso sopra le virtù di S. Giuseppe, la qual cosa fu assai gradita alle religiose e a moltissime persone circonvicine al Monastero”.
La devozione a San Giuseppe
Un aspetto di questa devozione, è vedere in san Giuseppe il protettore di quanti si dedicano all’orazione. Santa Teresa lo raccomanda caldamente:
“Chi non avesse maestro da cui imparare a fare orazione prenda per guida questo Santo glorioso e non sbaglierà”.
In poche battute, esprime così la sua profonda comprensione dello spirito contemplativo di san Giuseppe, vissuto in continua comunione con Gesù e Maria. L’umile casetta di Nazaret era davvero la prima casa di preghiera, sulla quale si possono modellare tutte le altre. Giuseppe viveva con lo sguardo del cuore sempre rivolto a Gesù: è l’insegnamento fondamentale che ci offre.
Al Carmelo, san Giuseppe è di casa; la santa Madre ci assicura che “egli veglia una porta del Monastero, Nostra Signora l’altra e Gesù sta con noi”. Ogni Carmelo può dirsi davvero una piccola casa di Nazaret.
Ricordiamo con gioia che proprio nella festa del Patrocinio di San Giuseppe del 1956, abbiamo potuto inserire nella prima pietra del nuovo Monastero una pietruzza della casetta di Nazaret. Ciò è parso a noi come il simbolo e quasi il sigillo di questa somiglianza. E possiamo cantare: dolce casa di Nazaret, tu sei la nostra dimora!
Canteremo in eterno
le tue misericordie,
Signore!