Io sono la Vita!

PRESENZA DI DIO

O Gesù, fonte di vita, infondi sempre più la tua vita nell’anima mia.

 

MEDITAZIONE

I

Gesù ha annunciato così la sua missione: « Sono venuto, perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv. 10, 10). E qual è la Vita che Egli ci dona? È la vita della grazia, la quale è una partecipazione della vita divina.
Gesù è il Verbo Incarnato, e in quanto Verbo possiede per natura la vita divina nell’identico modo e misura del Padre: «Come il Padre ha la Vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di averla in sé» (Gv. 5,26).

Questa pienezza di vita divina, a causa dell’unione ipostatica, si riverbera sull’Umanità di Cristo. Posta in contatto diretto con la Divinità, a cui è personalmente unita, l’Umanità santissima di Gesù viene inondata dalla vita divina, ossia ne riceve la massima partecipazione per mezzo di una «tale pienezza di grazia da non potersene concepire una maggiore» (Myst. Corp.). La grazia santificante che invade l’Anima di Gesù è così piena, perfetta, intensa, sovrabbondante che i teologi non esitano a chiamarla «grazia infinita».

In Cristo, afferma S. Paolo, «piacque (al Padre) che abitasse ogni pienezza» (Col. 1,19), e San Giovanni ce lo presenta «pieno di grazia e di verità» (Gv. I,14). Ma Gesù non vuoI tenere unicamente per sé queste immense ricchezze: Egli vuole avere dei fratelli a cui farne parte; per questo motivo abbraccia la sua dolorosissima Passione e morendo sulla Croce merita per noi, suoi membri, quella grazia che Egli possiede con tanta pienezza. Cristo diventa così per noi la fonte, e l’unica fonte, di grazia e di vita soprannaturale: Egli è talmente «pieno di grazia e di verità», che «della pienezza di lui tutti abbiamo ricevuto» (Gv. 1,14;16).

Ecco dunque come giunge a noi la vita divina: dal Padre al Verbo, dal Verbo all’Umanità che Egli ha assunto nella sua Incarnazione, da questa Umanità, che è l’Umanità santa di Cristo, alle anime nostre.

2

La grazia è creata da Dio. In quanto Dio, ossia come Verbo, Gesù è, insieme col Padre e con lo Spirito Santo, il creatore della grazia.

Ma ora noi consideriamo Gesù in quanto nostro Redentore, perciò come Uomo, e come tale Egli è il Mediatore della grazia, ossia Colui che ce l’ha meritata e ce la dispensa. Infatti Gesù, mediante l’infinito tesoro di grazia che possiede, ha potuto meritarla anche per noi. E non solo l’ha meritata una volta per sempre morendo per noi sulla Croce, ma continuamente l’applica alle anime nostre, la produce in noi: la grazia viene infusa e si sviluppa in noi per la sua azione viva ed attuale. In tal modo Gesù ci dà la vita, è per noi vita, unica fonte della nostra vita soprannaturale. Per questo motivo la grazia di Gesù si chiama «grazia capitale», ossia la grazia del Capo che la merita e la dispensa alle membra.

Ed ecco due preziosissime conseguenze pratiche. Chi vuol avere la grazia, la vita soprannaturale, deve andare a Cristo, essere incorporato a lui e vivere in lui. «Chi ha il Figlio ha la vita – insegna l’Evangelista – chi non ha il Figlio non ha la vita» (1 Gv. 5,12).

La grazia che santifica le anime nostre è, nella sua essenza, identica a quella che orna la santissima Anima di Gesù (cfr. S. Tommaso, III, q. 8, a. 5). Senza dubbio la misura e la perfezione sono immensamente diverse, ma la natura è la medesima. Quindi la grazia ha in noi la stessa potenza santificatrice, le stesse tendenze che ha nell’Anima di Gesù. Essa tende a santificarci, facendoci vivere in unione con Dio e per la sua gloria. Gesù, dunque, dandoci la grazia, ci ha veramente comunicato la sua vita, ha posto in noi il germe della sua santità e noi possiamo vivere una vita simile alla sua.

 

COLLOQUIO

O Gesù, come è dolce per me contemplare la tua santissima Umanità ripiena di tutti i tesori della vita divina!

Fissare il mio sguardo direttamente sulla tua Divinità di Verbo eterno è per me assai difficile, ma considerarla partecipata alla tua Umanità è più agevole e facile; qui il pensiero si riposa e non finisce di ammirare la tua grandezza.

O Gesù, la tua Anima è talmente ricca di grazia, talmente luminosa e piena di vita divina, che in essa si riflette appieno la tua gloria di Unigenito del Padre e la tua Umanità mi appare quale unica mediatrice e fonte di tutta la grazia, di tutta la vita divina che può essere partecipata agli uomini.

Ma poi questa Umanità, così santa, così gloriosa, così unita a Dio, la contemplo straziata nel duro tormento della Croce: tutto ciò che è gloria è nascosto, non si vede che dolore, morte, annientamento totale. Ma dalle ferite sanguinanti ecco sgorgare una splendida fonte di vita; con la tua morte, o Gesù, hai meritato di comunicare a noi la grazia e ne sei diventato Tu stesso la nostra unica fonte.

O Gesù, corro a te, a te mi accosto come l’assetato corre e si accosta alla sorgente delle acque. «Dammi, o Signore, della tua acqua e non avrò sete in eterno, perché l’acqua che Tu mi dai diventerà in me una fontana che zampillerà fino alla vita eterna» (cfr. Gv. 4,13;14).

O Gesù, i tuoi Apostoli, non volendo in alcun modo lasciarti, ti dicevano un giorno: «Tu solo hai parole di vita eterna» (ivi, 6,69); oh, ben più che parole di vita, Tu hai, anzi, sei la vita stessa, ed a noi la dispensi!

Ma, Gesù, permettimi una domanda: se quella grazia santificante che mi viene da te e vivifica l’anima mia è – nella sua natura – la stessa che inonda la tua santissima Anima, perché mai io sono così dissimile da te, così lontano dalla santità?

Lo comprendo: se gratuitamente mi dai la tua grazia, non vuoi però che questa cresca in me senza il concorso della mia libera e buona volontà. Molto spesso c’è in me una dura lotta fra le esigenze della tua grazia e quelle della mia cattiva natura e, purtroppo, quante volte la natura ha il sopravvento sulla grazia!

O Signore, dammi forza per vincere e rinnegare me stesso ad ogni costo. Che la tua grazia, che la tua vita trionfi in me per la tua gloria, per la gloria della tua Opera redentrice.

«Tutto il mio spirito, tutto il mio cuore, tutto il mio corpo, tutta la mia vita viva a te, mia dolce vita. T’amerò, Signore, mia virtù; t’amerò e vivrò non a me, ma a te»
(S. Agostino).